LUNGA PRESENTAZIONE DI ME MEDESIMO
Tutti condensano in quattro righe la propria vita. Venti secondi di facile lettura: chi ero, chi sono, chi vorrei essere. Punto e a capo. Faccio cose, viaggio, scrivo, amo. Fine. Io invece no. Beccatevi ‘sta pappardella.
Nasco trent’anni fa da utero legnanese, hinterland milanese. Una vita di anonimato tra gli studi obbligatori e una maturità liceale. Due calci ad un pallone nelle basse categorie provinciali. Un certo numero di cazzate adolescenziali. Ero piccolo, e col passare degli anni non sono cresciuto più di tanto. Una laurea in giurisprudenza con qualche inspiegabile picco di autostima e una scarsa propensione ad agghindarsi quotidianamente da pinguino. Tra i vari banchi occupati pochi e scellerati insegnanti si complimentano per qualche mia riga. Prendo, metto in tasca ma non ci lavoro più di tanto. Non ci investo tempo e voglia. Vincono altre attrazioni, lo sport ad esempio, quello fatto dagli altri, davanti a uno schermo, tra birra e divano. Oltre a ciò pochi hobby: il piacere di stare tra gli amici e vivere all’aria aperta come ragione di vita.
Al quarto di secolo, senza grandi progetti futuri, la testa fa i capricci. Discorsi, ansie e paure che avrei volentieri rimandato di una trentina d’anni, irrompono a gamba tesa. Mi blocco. Riparto. Rivedo un po’ di cose. Cambio un poco e realizzo, o quanto meno credo, ciò che realmente mi interessa. Metto qualcosa da parte, cerco sentieri differenti, lascio indietro ciò che non mi piace. Scelgo la vita, un lavoro, una prima casa, un mutuo a interessi fissi. Scelgo la famiglia, gli amici, e un maxi televisore del cazzo. Scelgo il fai da te e mi chiedo chi cacchio sono la domenica mattina (scelgo di voler bene a chi ha colto la citazione). Cerco di non caricare emotivamente le scelte che compio. Cerco di non chiedermi se sia giusto o sbagliato. Cerco di lasciar andare.
In una torma di ricerche interiori approda il periodo dei vorrei: vorrei vedere gli strani animali delle enciclopedie sfogliate da piccolo; vorrei girare il mappamondo, puntare l’indice a occhi chiusi e partire all’istante; vorrei conoscere culture e cibi lontani anni luce da noi; vorrei sedermi di fronte all’oceano tutte le volte che voglio; vorrei dimenticarmi di agende, appuntamenti e giorni della settimana; vorrei andare in cerca dei cessi più insoliti al mondo. Appare evidente che queste voglie abbiano un lampante filo comune: il viaggio. Si torna sempre lì, a ciò che fa stare bene. Il viaggio è il fine ultimo, ciò che più mi interessa, quanto il Milan, la pizza e quella matta che mi sopporta.
Allora unisco la penna al viaggio, cercando di rappresentare questo binomio in chiave originale. Cerco e trovo un posto dove riporre gli scarabocchi presi di corsa e le note vocali salvate. Apro uno spazio in cui dar adito a emozioni, stati d’animo, pensieri. Un luogo in continuo divenire. Aperto a correzioni, ripensamenti. Non consiglio che cosa vedere, in quanti giorni e a che ora farlo. Ricerco una nota anticonformista. Nessuna influenza. Racconto ciò che mi ha regalato un sorriso, un piatto, un costume diverso e lontano. Che sia la lettura stessa un viaggio, senza scopo. Alla fine è ciò che ho sempre sognato: viaggiare, leggendo.